La ricerca etnomusicologica

La ricerca etnomusicologica

di  Domenico Di Virgilio


It is now well over two decades since New Musicologists began to urge greater recognition of the culturally situated nature of all music. One effect of this recognition was to spur widespread interest in ethnomusicology, previously considered by many musicologists to be a somewhat marginal subdiscipline. Since this time, the landscape of both disciplines has changed significantly. Ethnomusicology courses have grown in curricular prominence and scholarly societies have thrived. Ethnomusicologists have become more confident in their disciplinary identity: hand-wringing over the definition of the discipline in the 1980s has given way to a flowering of new literature embracing many of the hot topics of recent anthropology: diaspora, urbanism, gender and technology, to name just a few. Meanwhile, it is now commonplace for scholars in musicology to straddle interdisciplinary boundaries: at a British Forum for Ethnomusicology meeting in 2001, Nicholas Cook asserted that ‘we are all (ethno)musicologists now’. Nevertheless, a mutual interest in music as embedded in culture has not led musicology and ethnomusicology to callapse into a single field of scholarship, as was predicted by some. Rather, if anything, both disciplines have become increasingly diverse and fragmented.”

“Sono ormai circa due decadi la nuova musicologia ha iniziato a riconoscere una maggiore importanza all’aspetto culturale di tutti i generi musicali. Uno degli effetti di questo è un maggiore interesse verso l’etnomusicologia, disciplina considerata in passato piuttosto marginale. Nel frattempo, però, l’orizzonte di entrambe le discipline è cambiato in modo significativo. I corsi di Etnomusicologia sono diventati sempre più importanti nei curricula universitari e sono sorte associazioni scientifiche. Gli etnomusicologi sono divenuti sempre più  fiduciosi in una loro identità: la riflessione su cosa sia questa disciplina ha portato, negli anni ’80, al fiorire di pubblicazioni che spaziano anche nei campi più recenti dell’antropologia: la diaspora, l’urbanizzazione, la tecnologia, la sessualità, per citarne alcuni. Ed è ormai divenuta cosa comune per gli studiosi di musicologia superare i confini tra le due discipline: nell’incontro del 2001 del British Forum for Ethnomusicology Nicholas Cook affermò che ‘siamo tutti (etno)musicologi ora’. Tuttavia questo interesse condiviso nel  riconoscere il fattore culturale della musica non ha portato al fondersi delle due discipline, come qualcuno sosteneva in passato. Ci sembra invece che le due discipline siano divenute sempre più diverse e dense di sfaccettature.” (Abigail Wood, The diverse voices of Contemporary Ethnomusicology, pp. 349-364, in Journal of the Royal Musical Association, 134, 2, 2009).

Per iniziare questo excursus sulla ricerca etnomusicale nella nostra Regione ho scelto questa citazione perché credo elenchi in modo lineare le cose principali di cui ci occuperemo: la musica e il mondo dei suoni della cultura tradizionale in Abruzzo; il riconoscimento di questo approccio da parte delle istituzioni scientifiche come i conservatori di musica e le università (invero nella nostra Regione non molto incoraggiante); un sempre maggiore interesse da parte di un pubblico soprattutto giovanile, che a partire dalla frequentazione con le musiche del mondo sente lo stimolo per una sempre maggiore conoscenza della propria cultura di base. Il conseguente confronto con la musicologia della tradizione musicale colta che proprio per le ragioni appena esposte diventa sempre più frequente.

Per l’etnomusicologia in Abruzzo tutto è iniziato con Gennaro Finamore (Gessopalena 1836 – Lanciano 1923). In un repertorio come quello abruzzese che è ricco soprattutto di musiche per voce Finamore intuì subito che quelle ‘arie’ andavano “fonografate quando la voce o le voci liberamente si effondono nell’aria de’campi (…)” (MSS LIV nella Biblioteca Prov. De Meis, Chieti)

Erano gli anni in cui Béla Bartòk e Zoltan Kodàly raccoglievano melodie in Ungheria, Ucraina, Romania per il loro seminale lavoro di analisi del repertorio della tradizione orale nell’area balcanica, e non solo. Finamore raccolse moltissimi documenti ma non ebbe la possibilità di registrarli dalla viva voce dei contadini. Si affidò alle trascrizioni musicali fatte ad orecchio da alcuni maestri di musica di sua conoscenza (la maggior parte a firma di Filippo De Cinque di Casoli), ma sappiamo che non è la stessa cosa.

E d’altronde ancora oggi far capire qui da noi che certe ricerche devono essere fatte in un certo modo non è cosa molto semplice.

Però:

Assieme alla Sardegna, al Friuli e al Lazio, l’Abruzzo è stata la prima regione italiana ad essere interessata a ricerche realizzate con apparecchiature e presupposti metodologici moderni: è del 1948, infatti, la raccolta 3 di Giorgio Nataletti che, per conto dell’appena istituito Centro Nazionale Studi di Musica Popolare, raccoglie 37 brani registrati a Sambuceto, il 20 dicembre 1948, a S. Giovanni Teatino, il 15 marzo 1949, e a Teramo il 17 marzo 1948.

Al 1954 risalgono i 62 brani rilevati da Alan Lomax e Diego Carpitella a Terranera, Rocca di Mezzo, Aielli, Scanno, S. Stefano di Sessanio, Pescocostanzo e Castel del Monte, in provincia dell’Aquila, e a Caldari e Vasto in provincia di Chieti. Queste registrazioni fanno parte della raccolta 24P degli Archivi di Etnomusicologia dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia  dove è depositata anche la raccolta 44 di Clara Regnoni Macera con 10 brani registrati a Pescina nel 1958.

Nello stesso anno, per la laurea che si accinge a sostenere in Storia delle tradizioni popolari dell’università di Roma “la Sapienza”, con Paolo Toschi come relatore, Elvira Nobilio avvia un’ampia ricognizione sul campo circoscritta al territorio di Penne i cui esiti confluirono nel volume Vita tradizionale dei contadini abruzzesi nel territorio di Penne (Olschki, Firenze 1962). Le registrazioni sonore, finora del tutto inedite ed oggi conservate presso l’Archivio Franco Coggiola del Circolo Gianni Bosio documentano, da un’angolatura del tutto particolare perché ‘interna’ alla stessa comunità, vari aspetti della cultura popolare  dell’area (racconti,  credenze magiche, proverbi, rituali ecc.) e, per quanto riguarda la parte musicale, comprendono canti narrativi, stornelli, orazioni sacre, brani di satira locale, canti della prima guerra mondiale, canti di pellegrinaggio, canti della tradizione carnevalesca e del calendario religioso (Sant’Antonio, Carnevale, Settimana Santa). Questi documenti sono stati pubblicati nel 2015 per la casa editrice Squilibri ed a cura di Omerita Ranalli.

Nel 1963 Nicola Jobbi, parroco di Cerqueto, avvia una sistematica raccolta di materiali attinenti la vita della propria comunità, estesa ben presto a tutta l’area montana della provincia di Teramo e realizzata con l’utilizzo, allora ancora abbastanza raro, di sistemi tecnologici per le rilevazioni sul campo. Nell’arco di vent’anni Jobbi ha raccolto un’imponente documentazione sonora e fotografica (70 audiocassette, 121 bobine di nastro magnetico, 10.499 stampe, 17.908 negativi b/n, 4.865 negativi colore e 649 diapositive), aggregando ai propri materiali anche quelli di altri ricercatori, specie per quanto riguarda le fotografie (Federico Mastrodascio, Giammario Sgat­toni, Yutaka Tani, Satoshi Miyazawa, Angelo Nerini, Piero Angelini, Beppe Monti, Giuseppe Profeta e Bruno Misantoni): il fondo è ora in corso di catalogazione ad opera di un gruppo di studiosi coordinato da Gianfranco Spitilli.

Al 4 gennaio del 1963, risalgono i 7 brani registrati a Carsoli da Carla Bianco, conservati nella raccolta 51 LM dell’ Archivio AELM della Discoteca di Stato,  mentre nello stesso anno si avvia la ricerca su tutto il territorio regionale di Cesare Bermani (ricca di quasi cento ore di registrazioni) e quella di Giuseppe Profeta, svolta in prima persona fino al 1968 e poi, fino al 1975, coordinando le attività della cattedra di Storia delle tradizioni popolari ricoperta all’università de L’Aquila e di Chieti dall’antropologo abruzzese. Questo ricco corpus di registrazioni è composto da circa 800 supporti (bobine e cassette analogiche) ed è in corso di catalogazione ad opera di Carlo Di Silvestre presso il C.E.d’A. (Centro etnomusicologico d’Abruzzo)

  Presso l’’Archivio AELM della Discoteca di Stato vi è un fondo Profeta costituito dalle raccolte 54 LM e 100 LM depositate nel 1970.

Il 30 dicembre del 1966 a Cerqueto di Fano Adriatico arrivano anche Roberto Leydi, Diego Carpitella e Alberto Negrin, impegnati in una serie di rilevazioni sul campo in vista dello spettacolo Sentite buona gente, in programma per l’anno dopo al Lirico di Milano nel cartellone del Piccolo Teatro: esito di questa loro permanenza, protrattasi fino al 31 dicembre, sono le registrazioni conservate nel Fondo Leydi presso il Centro di dialettologia edi etnografia di Bellinzona e le fotografie realizzate nell’occasione da Alberto Negrin. Le registrazioni conservate nel fondo Leydi sono in corso di pubblicazione nell’ambito del progetto Tramontana Sonora/Bambùn diretto da Gianfranco Spitilli.

Donatangelo Lupinetti raccoglie negli anni ’60 del 1900 un importante corpus di testimonianze della letteratura orale, importante per numero di documenti e qualità del materiale raccolto. Il repertorio di carattere etnomusicale attiene soprattutto a testimonianze devozionali-religiose: canti di questua, processionali, orazioni, Il limite del suo lavoro è però nell’avere escluso nei rilevamenti, non sappiamo se per scelta o altro, l’uso della registrazione audio e di essersi limitato alle trascrizione dei testi e, a volte, dei profili melodici.

Tra gli anni Sessanta e Ottanta si svolge anche il lavoro di documentazione di Emiliano Giancristofaro attorno alle credenze popolari delli genti d’ Abruzzo: 77 cassette audio e 15 nastri VHS, depositate presso la Biblioteca Comunale di Lanciano, ancora da catalogare e restituire a una piena fruizione pubblica, mentre è del 1967 il documentario di Luigi Di Gianni, Il culto delle pietre (1967).  Nel documentario il regista mostra la pratica della litoterapia (i pellegrini si strofinano sulle pietre per ottenere la guarigione dei mali) presso l’eremo di San Venanzio a Raiano.

Grazie anche a don Nicola Jobbi, nel frattempo divenuto punto di riferimento per la ricerca etnomusicologica e antropologica non solo sul piano nazionale, dal luglio al settembre del 1969 gli antropologi Tadao Umesao, Yutaka Tani e Masaichi Nomura dell’Università di Kyoto condussero a Cerqueto un’accurata analisi sulla vita dei pastori transumanti, le relazioni di parentela e i rapidi cambiamenti cui era soggetta la cultura tradizionale in quegli anni.

Incaricato di Storia della Musica dal 1968 al 1970 all’università di Chieti, Diego Carpitella nel 1970 effettuò una campagna di rilevazioni in alcuni paesi alle falde orientali della Maiella (Civitella Messer Raimondo, Gessopalena, Palena e Quadri) raccogliendo un significativo numero di canti e musiche rappresentativi della tradizione orale dell’area, confluiti poi nella raccolta 129 degli Archivi di Etnomusicologia dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia e pubblicati in gran parte nel cd allegato al volume, a cura di Domenico Di Virgilio, Musiche tradizionali in Abruzzo, Squilibri, Roma 2010.

Del 1970 sono anche le registrazioni realizzate da Alessandro Portelli presso le comunità abruzzesi delle borgate romane con immigrati, per lo più della provincia aquilana, che documentano un repertorio musicale e di storia orale particolarmente significativo, con numerosi brani della tradizione narrativa e contadina (stornelli di mietitura, stornelli alla romana). 

A tutto campo il lavoro di ricerca di Cesare Bermani che si svolge tra il 1964 e gli anni più recenti del 2000, ed abbraccia quasi tutto il territorio della Regione. Esso si connota come dichiarato impegno militante sulla condizione delle classi subalterne  quindi nella ricerca anche di testimonianze più dichiaratamente sociali e politiche. Accanto alle testimonianze sul mondo del lavoro contadino e della vita quotidiana (mietitura, raccolta delle olive, religiosità popolare, ninna nanne, canzoni narrative) Cesare Bermani raccoglie canti contro la guerra, testimonianze di militanti anarchici e sulla guerra di liberazione. I documenti sono depositati presso l’archivio dell’Associazione L’Altra Cultura. Parte di essi negli anni sono stati pubblicati nella collana ‘I Dischi del Sole’, alcune testimonianze sono entrate nell’attività di riproposta del Nuovo Canzoniere Italiano (spettacolo ‘Ci Ragiono e Canto’). Nel 2015 sulla rivista ‘Il de Martino’ è stato pubblicato il saggio Il paese di San Domenico, con CD allegato, con documenti della religiosità popolare.

Agli inizi degli anni ’70 risalgono le registrazioni di Giuseppe D’Amario (157 brani rilevati, tra maggio e settembre del 1971 a Pizzoferrato, Colledimezzo, Guilmi e Castel del Monte) e da Antonio Piovano (27 brani ripresi, da gennaio a marzo del 1972, a Città S. Angelo, Loreto Aprutino e Tollo), conservati nelle raccolte 103 LM e 113 LM dell’ Archivio AELM della Discoteca di Stato.

Le registrazioni di Marco Müller in provincia dell’Aquila sono frutto di una ricerca condotta nel 1974 tra Rocca di Mezzo e Rocca di Cambio, località dell’Altipiano delle Rocche al confine tra l’area vestina e l’area marsicana della provincia dell’Aquila. Oltre ad un’intervista sulle tradizioni popolari nel comune di Rocca di Cambio (ciclo delle feste, questua dell’epifania, carnevale, poesia popolare), i nastri contengono un repertorio misto di canzoni tradizionali abruzzesi eseguite in occasione di un raduno festivo: per lo più brani d’autore, composti tra la fine del diciannovesimo e i primi decenni del ventesimo secolo, passati poi al repertorio popolare attraverso l’esecuzione di corali folkloristiche.

Tra la fine degli anni Settanta e i primi anni Ottanta si collocano le registrazioni di Angelo Melchiorre, studioso e divulgatore delle forme espressive della cultura popolare. Egli raccoglie documenti a Collelongo, nella  Marsica e a Tagliacozzo, con un’estesa documentazione relativa ai canti d’osteria, i canti che accompagnavano la scartocciata (la sfogliatura del grano), i canti di questua e la tradizione delle panarde, che  cadenzano la devozione a sant’Antonio Abate, e altri repertori di carattere narrativo e religioso.

Dalla cattedra di Etnomusicologia dell’Università di Bologna, Roberto Leydi rivolse un’attenzione particolare ai repertori abruzzesi con numerose tesi di laurea alle quali sono da riferire, con ogni probabilità, le raccolte conservate nel Centro di dialettologia e di etnografia di Bellinzona relative agli anni Settanta (Gabriello Milantoni, Elisio Cipolla, Marco Della Sciucca e G. Simone) e Ottanta (Maurzio Torelli, Grazia Meo e Giuliana Fugazzotto). Attestazione della duratura collaborazione tra Leydi e don Nicola Jobbi, sono le registrazioni effettuate nel 1990 da Luigi Candelori, che documentano alcuni repertori cantati a Crognaleto, sui Monti della Laga, e a Leognano e Collevecchio, nel comune di Montorio al Vomano, dove il parroco risiedeva dal 1984.

Sotto la guida di Roberto Leydi, raccolgono documenti negli anni ’80 dello scorso secolo Maurizio Anselmi e Carlo Di Silvestre. Parte del fondo Anselmi è conservato presso Centro di dialettologia e di etnografia di Bellinzona mentre 57 bobine da 15cm. sono così divise: 14 nastri sono  presso il Museo delle Genti d'Abruzzo di Pescara, 47 nastri presso l' Associazione Culturale Bambùn di Teramo. Le registrazioni conservate presso il Centro Centro di dialettologia e di etnografia di Bellinzona  documentano in particolare il repertorio vocale, le altre registrazioni il  repertorio strumentale: tamurre (ensemble di percussioni di derivazione militare),  zampogna, organetto. L’ Associazione Bambùn conserva anche i documenti fotografici relativi questa ricerca sul campo. I documenti audio in bobina sono però in parte deteriorati e l’esito di lavori di restauro su di essi appare alquanto incerto.

Il materiale raccolto da Carlo Di Silvestre è custodito presso il C.E.d'A - Centro etnomusicologico d'Abruzzo - di Pineto (Te), ed in parte pubblicato in Cd allegati ai volumi editi per la Collana di Etnomusicologia Abruzzese.

Iniziato negli anni ’80 del secolo passato e tuttora in corso è il capillare lavoro di documentazione sulle danze della tradizione orale in Abruzzo condotto da Giuseppe M. Gala. Il lavoro di Gala in Abruzzo è una parte del più completo lavoro sulle danze popolari (Etnocoreutica) che questo studioso sta portando avanti da anni nella Penisola. I documenti raccolti confluiscono poi nella collana di CD Etnica (http://www.taranta.org/taranta/cd-ethnica.html) mentre presentazioni, studi ed analisi di etnocoreutica si possono trovare nella fascicoli dei Quaderni della Taranta e nella rivista Choreola.

Negli anni ’90 e d ancora in corso si situa il lavoro di ricerca di Marco Magistrali, in particolare nell’area teramana. Lavoro che prosegue con la riproposta dei documenti raccolti , cioè offrendo loro nuove occasioni di testimonianza in rassegne e festival.

Da ricondurre a Roberto Leydi sono anche le registrazioni realizzate da Gianni Fidanza a metà degli anni Ottanta sui repertori per zampogna a Luco de’ Marsi e Castellafiume e conservati presso il Museo delle Genti di Abruzzo.

All’interno delle finalità per cui il Museo delle Genti è attivo fin dagli anni ’80 del secolo passato si pongono anche le rilevazioni sonore e fotografiche di Adriana Gandolfi che, tra il 1984 e il 1987, conduce una serie di ricerche finalizzate a implementare l’archivio e a supporto dell’allestimento delle sale del Museo stesso,  inaugurato poi nel 1991. Anche per questa ragione le registrazioni includono un numero significativo di interviste non soltanto sulle forme della musica tradizionale e del loro contesto sociale ma anche sulle tradizioni narrative, i racconti di vita, le testimonianze legate alle credenze popolari, a certe forme di artigianato, ad attività lavorative spesso in via di abbandono.  Nel Museo sono conservate anche parte delle registrazioni realizzate da Domenico Di Virgilio a partire dalla metà degli anni Ottanta. Avviate anche per impulso di Diego Carpitella questi documenti coprono parte della Regione e, in modo capillare, la provincia di Chieti. Esse costituiscono una emblematica rappresentazione della pluralità dei generi e dei repertori relativi alle musiche di tradizione orale:  canti di lavoro, stornelli a dispetto, storie cantate, lamenti funebri e litanie, musiche devozionali in occasione di processioni e pellegrinaggi nonché il repertorio delle confraternite religiose.

Al 1987 risalgono le registrazioni realizzate da Ettore De Carolis a Cepegatti che si inquadrano nella sua ricerca di fonti per l’attività di musicista, che ne diede poi un’originale rivisitazione nel disco Stelluccia del cielo non ti scurire.

Accanto a queste raccolte antecedenti tutte l’anno 2000, e che probabilmente possiamo ormai definire ‘patrimonio storico’ della nostra ricerca etnomusicale, esiste senza dubbio un fondo di documenti raccolti in periodi e con intenzioni e supporti tecnici diversi. Questi sono gelosamente custoditi da privati ma in tal modo rischiano solo di andare dispersi o deteriorati.

La ricerca dunque prosegue. In attesa che emergano queste raccolte, basta cercare e succede spesso. Ricordiamo le più recenti attività di rivelazione sul campo realizzate da Alessio Menzietti, tra il 2002 e il 2005, su canti e danze per organetto diatonico della Val Vibrata, da Annunziata Taraschi sui canti per la questua di Sant’Antonio Abate a Pietracamela, Intermesoli, Fano Adriano e Cerqueto e, in particolare, da Gianfranco Spitilli che ha realizzato nell’ultimo decennio nuove documentazioni sonore, audiovisive e fotografiche, ripercorrendo e ampliando gli itinerari di ricerca di don Nicola Jobbi.

Certamente con il materiale finora raccolto, ed in parte studiato, la nostra conoscenza e comprensione dei documenti dell’oralità nella nostra Regione è alquanto esaustiva; e d’altronde una gran parte delle modalità tradizionali di esecuzione e di trasmissione è ormai inevitabilmente scomparsa. E’ per questo che possiamo definire storiche le raccolte antecedenti l’anno 2000.

Il lavoro di censimento di queste fonti deve comunque proseguire, e deve proseguirne lo studio come testimonianza della nostra cultura, regionale e non, di base. Cioè di quel patrimonio di saperi che possono costituire fonte di riflessione, arricchimento ed anche di rinnovamento non illusorio cui attingere sempre.

Questi sono alcuni dei motivi per cui la ricerca sulle fonti orali e l’etnomusicologia, che a volte si interseca con la musicologia, devono andare avanti con l’osservazione dei cambiamenti che sempre ci sono nelle nostre società tradizionali. Soprattutto oggi quando ci confrontiamo in tempo reale con le nuvole web e i revival emblematici come la diffusione dell’organetto diatonico.